La Girandola altro non era che un fuoco d’artificio studiato nei disegni da Michelangelo Buonarotti e perfezionato dal Cavalier Bernini (cfr. Onorato Castani, Osservazioni sulla Sicilia, pag. 23), il quale si rifece alle eruzioni del vulcano Stromboli “che vomita fiamme e foco”. Il genio fantastico del grande Architetto napoletano trasformò questo diluvio di razzi, baleni, e fulmini di fuoco in un disegno di colori ed arte insuperabili. Ben presto si sparse la voce di questo spettacolo fantasmagorico e Roma divenne meta di visitatori provenienti da ogni parte d’Europa. In una medaglia di Pio IV si vede il Castel Sant’Angelo incendiato da fuochi d’artificio
- (cfr. Cose meravigliose di Roma 1625, e Grandezze di Roma 1678).
La Girandola rimase un appuntamento importante per i viaggiatori italiani e stranieri fino al 1834, anno da cui misteriosamente essa non fu più proposta, pare a causa della morte di chi ne doveva continuare la tradizione, che scomparve senza lasciare istruzioni specifiche in merito e perciò non la si poté più rielaborare. Tuttavia non tutto andò perduto.
Dai racconti dell’epoca, dalle osservazioni e dai disegni degli architetti e da appunti dei “mastri del fuoco” di allora, sono riuscito ad arrivare a conclusioni più che fondate sulla complessa struttura pirotecnica che allora era allestita; gli studi sono stati arditi e laboriosi anche perché le miscele di quel tempo erano il risultato di complicate e laboriose alchimie eseguite su materiali naturali e l’identificazione odierna è stata forse la parte più complessa e difficile.
Da Michelangelo in poi il segreto era riposto nei colori e non sui colpi come oggi siamo abituati a sentire, si dice che erano usati 4500 razzi sparati in una sequenza molto particolare e che i “Flumina Lucis” i fiumi di luce così chiamati dal Bernini non dovevano essere meno di 60 e non oltre gli 80 questo affinché l’iride umana sensibile non avesse a confondersi nella successione dei colori. Certo è che lo studio delle miscele che dovevano creare determinati tipi di colore era bagaglio di pochi eletti, coloro che si cimentavano in questi studi non erano semplici artigiani né tantomeno personaggi occasionali.
L' alchimia dei Fuochi
Intorno alla storia e all’alchimia dei fuochi gravitano decine e decine d’aneddoti e curiosità: per questo a breve pubblicherò un libro dove gli amanti dei fuochi d’artificio e anche i professionisti del settore potranno dilettarsi nel leggere i racconti e le storie riguardanti questa particolare arte del fuoco. La transitorietà, la fugacità è uno degli aspetti e degli attributi che distinguono il fuoco d’artificio, come appunto fece notare uno dei massimi esponenti della pirotecnica: Vannoccio Biringuccio, (1480-1537) famoso studioso e tecnico minerario che dal 1530 è stato maestro della fonderia Apostolica e dell’Artiglieria Papale, nel suo trattato Pirotechnia del 1540 pose le basi per la realizzazione dei fuochi d’artificio per ottenere colori ed effetti. In questo trattato si trovano molte riproduzioni di stampe che rappresentano i fuochi. Grazie ad esse in più di un’occasione è stato possibile fugare dubbi e incertezze sul tipo di materiale usato. Sembra incredibile ma molte stampe sono una testimonianza di ciò che effettivamente s’intendeva per evento celebrativo attraverso un fuoco. Rendere i fugaci effetti visivi su un foglio è una sfida per un’artista, e sembrerebbe impossibile farlo disegnando con semplici tonalità date dall’abilità di combinare il bianco e il nero.
Dal periodo che va dalla metà del Cinquecento a tutto l’Ottocento su queste manifestazioni furono prodotte centinaia di stampe, molte erano a colori, (ma molto rare) la stragrande maggioranza era invece in bianco e nero. Esse riproducevano la magnifica illuminazione creata dai fuochi che incorniciavano eventi come matrimoni, nascite, incoronazioni, vittorie militari, giornate nazionali, e perfino inaugurazioni di grande opere architettoniche, si ricordi ad esempio il grande spettacolo pirotecnico organizzato per inaugurare il Ponte di Brooklyn.
Diverse metodologie
Ci sarebbe da scrivere un capitolo a parte anche per tutti quegli artisti che si cimentarono nella riproduzione di questi eventi. Essi usarono una complessa varietà di metodi per catturare la diversità degli effetti generati nell’atto di esplodere, e non solo, a secondo gli eventi essi dimostrarono con i loro disegni le particolari scenografie ideate e studiate dagli architetti di quel tempo, le complesse sequenze che di volta in volta e a seconda del tipo di celebrazione potevano assumere, così da comprendere che per un matrimonio regale vi era un particolare metodo di sparo, mente per un battesimo, o una incoronazione si seguivano altre intuizioni e particolarità che per noi addetti ai lavori sono stati di grande aiuto e stimolo. Certamente l’interpretazione di questi disegni nasce da una lunga esperienza di studio e d’esperienza empirica, dove l’analisi dei disegni spesso porta a felici conclusioni.
Furono i cinesi tra l’XI e il XII secolo a realizzare le proprietà esplosive di una mistura composta di zolfo, carbone e nitrato di potassio. In un testo del 1044 si legge di una freccia di bambù riempita di polvere pirica: il huo chien. La conoscenza di questa materia arrivò in Europa solamente intorno al quattordicesimo secolo. Gli Europei trovarono tuttavia altri usi di questa mistura applicandola nelle armi da fuoco, ma il primo fuoco d’artificio furono gli arabi a portarlo in Europa e fu sparato nel 1379 in occasione dei festeggiamenti per la riconciliazione tra Scaligeri e Visconti a Vicenza. I fuochi d’artificio che usualmente combinano materiali combustibili con propellente, sono documentati in Roma per l’elezione dell’Anti-Papa Giovanni XXIII (Baldassarre Cossa, da non confondere con Angelo Roncalli, ovvero Papa Giovanni XXIII del XX secolo)* nel 1410, ed in Firenze per la visita di Galeazzo Sforza, duca di Milano, nel 1471.
NOTA:
* Baldassarre Cossa, nacque a Procida nel 1370, nominato cardinale da Bonifacio IX nel 1402, fu eletto papa dal Concilio di Pisa nel 1410 dopo la morte di Alessandro V con il nome di Giovanni XXIII. Fu proclamato antipapa dal Concilio di Costanza del 1415, da lui stesso convocato, durante il quale sotto le pressioni di Sigismondo di Lussemburgo venne processato, e deposto. Dopo varie peripezie prestò giuramento a Martino V, il quale era riuscito a farlo liberare e in seguito al giuramento gli concesse di rientrare nel Sacro Collegio come Vescovo di Tuscolo. Morì nel 1419.